giovedì 27 maggio 2010

Sulle orme di Modigliani, tra Gallarate e Parigi



Una mostra rende omaggio al più importante tra i pittori italiani a cavallo tra due secoli. L'occasione per scoprire la provincia lombarda sognando Montparnasse e la Francia di Modì.
E' con un omaggio ad Amedeo Modigliani, il principe di Montparnasse o il più "maledetto" tra toscani, a seconda dei punti vista, che la nuova Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Gallarate, inaugura la sua nuova sede museale.

L'occasione è di quelle ghiotte per approfittare del bel tempo per una breve gita per chi vive a Milano e dintorni per visitare una mostra che si annuncia di gran fascino e una città, Gallarate, la cui storia affonda in origini galliche per trasformarsi nei secoli addirittura in capoluogo delle province della Lombardia austriaca e in seguito patria del romanticismo risorgimentale, almeno così come la ricorda quel dimenticato romanzo ottocentesco di Gerolamo Rovetta ispirato ai fratelli Giuseppe e Pompeo Castelli titolari della celebre "farmacia del rinascimento".

Dunque, si tratta di 50 splendidi disegni provenienti dai più grandi musei e dalle più grandi collezioni italiane e
internazionali, e oltre 250 documenti originali che ripercorrono la vita del grande artista di cui quest'anno
ricorrono i 90 anni dalla morte. E' il 12 di luglio del 1884, quando a Livorno, in via Roma al civico 38, nasce da Eugenia Garsin e Flaminio Modigliani, Amedeo, il futuro Modì, il più importante tra i pittori italiani a cavallo tra i due secoli. Il padre Flaminio, è un commerciante romano di origini romagnole, mentre la madre Eugenia vanta natali francesi e tunisini, nonché una discendenza dal filosofo Spinoza.

Entrambi i genitori sono ebrei e portano nel sangue il seme della più antica tradizione israelita mediterranea.
Amedeo è l'ultimo dei quattro fratelli: Emanuele, il primogenito, avvocato, diventerà deputato socialista;
Margherita, la seconda, che rimarrà in famiglia, diventerà la madre adottiva di Jeanne, la figlia di Amedeo ed
infine, il terzogenito Umberto, ingegnere minerario. Dei primissimi anni di vita del piccolo Amedeo si hanno solo ricordi sparsi ripresi soprattutto dal diario di sua madre e dalla ricostruzione dell'ambiente famigliare dei
Modigliani, giunti nella città franca verso la metà dell'800, all'indomani della proclamazione della repubblica
romana avvenuta il 9 febbraio 1849 e dei Garsin, trasferitisi dalla Tunisia a Livorno già dalla fine del XVIII
secolo.

Amedeo, il piccolo Dedo, pur tra difficoltà di ordine economico, vive la sua infanzia serenamente accudito dalla madre Eugenia e dal nonno materno Isacco, che viene ricordato dalla nipote Giovanna Modigliani, come un uomo bello, elegante, colto e "divoratore di libri". Nonno Isacco conosce di diverse lingue straniere, tra cui un po' di arabo e inglese, e ama fare lunghe passeggiate lungo i fossi fino al porto, parlando della propria esperienza e impartendo lezioni di vita al piccolo, il quale ascolta e stabilisce con il vecchio un forte legame. Per questa attitudine alla riflessione, Dedo viene soprannominato "il filosofo", tanto è assorto nell'ascoltare e partecipare alle lunghe discussioni con il nonno che via via prende il posto di un padre sempre più assente. Quando nel 1894 Isacco muore, Amedeo sprofonda in uno stato di profonda tristezza, forse il primo taglio, segno di un prematuro dolore che la vita gli terrà sempre in serbo a partire dalla prima malattia.

Nell'estate del 1895, la madre scrive sul suo diario: "Dedo ebbe una grave pleurite, e non mi sono ancora rimessa dalla paura tremenda che mi ha fatto. Il carattere di questo bambino non è ancora abbastanza formato perché io possa dire qui la mia opinione. Le sue maniere sono quelle di un bambino viziato che non manca di intelligenza. Vedremo più tardi cosa c'è in questa crisalide. Forse un artista?"

Quello che Dedo fece da quell'estate del ‘95 in poi è tutto scritto nel percorso di questa mostra che si annuncia tra le più interessanti della primavera che si è appena dischiusa e che sembra promettere bene. Tra febbre tifoide e altre malattie Modigliani si rimette dopo un viaggio in Italia in luoghi più sani e stimolanti della sua Livorno, fino a fermarsi a Venezia nel 1903 come studente dell'Accademia di Belle Arti. Ma il suo destino non è nel nostro Paese, ci vuole ben altro per appagare l'ansia di novità che corrode dentro il giovane pittore. La Francia, o meglio, Parigi è la meta ideale ed è lì che nell'inverno del 1906 che arriva affittando uno studio in rue Cauliancourt, a Monmartre, vicino al Bateau Lavoir, ormai zona di incontro di Picasso, Salmon, Max Jacob e altre imminenti rivelazioni.

Les Italien è un bellissimo uomo, affascina la sua eleganza, i suoi modi di fare. E' corteggiato da schiere di
donne e recita Dante a memoria. Il dottor Paul Alexandre, diviene il suo maggior collezionista ed estimatore,
facendolo esporre per la prima volta nel 1907 al Salon des Indipendants. Da quel momento in poi le porte della capitale francese sembrano spalancarsi all'artista: diventa amico del grande scultore romeno Costantin Brancusi e si ripete nell'anno successivo al Salon con un dipinto bellissimo, "L'ebrea" e poi senza sosta ancora nel 1910 con tre altri capolavori, "Il suonatore di violoncello", "Il mendicante di Livorno" e "La mendicante".

Nel 1912 è al prestigioso Salon d'Automne per la prima volta con otto sculture. La materia gli piace, si confà al suo carattere che inizia a mostrarsi sempre più agguerrito e in gara con la vita. Alcol, droghe e l'ansia di
diventare celebre non si addicono alla sua salute che resta pur sempre cagionevole. Ed è per questo che nel 1913 progetta un soggiorno estivo nella sua Livorno con l'idea di dedicarsi unicamente alla scultura. Iniziano così gli anni più difficili e fascinosi della sua esistenza.
Con lo scoppio della Grande guerra nel 1914 perde il suo protettore Paul Alexandre e conosce la poetessa inglese Beatrice Hastings con la quale vivrà tempestosamente due anni. Inizia finalmente a vendere i primi quadri grazie alla conoscenza del mercante Paul Guillaume. Nel 1917 diventa amico fraterno del poeta polacco Léopold Zboroswki, esce con Soutine e fa grandi bevute insieme a Utrillo. Sono gli anni in cui inizia a dipingere nudi, donne bellissime dalle forme sinuose, dai colli allungati, dai visi morbidi e dolci come quello di Jéanne Hebuterne, diciannovenne allieva dell'Académie Colarossi, della quale si innamora perdutamente tanto da decidersi per la convivenza.

E' il 1918 e la guerra è alle porte di Parigi, la salute di Modì è sempre più cagionevole e Jeanne è rimasta
incinta: non c'è tempo da perdere, occorre fare in fretta, e così l'amico Zboroswky spedisce i due innamorati al riparo dai bombardamenti in Costa Azzurra, tra Cagnes e Nizza dove nascerà la piccola Jeanne. Finalmente si torna a Parigi, Jeanne è nuovamente incinta, la luce del sud ha rischiarato la sua tavolozza, ma non la sua mente che è sempre più prigioniera dell'alcol e della malattia. Muore il 24 gennaio del 1920 all'Ospedale della Carità mormorando, si dice, "Cara, cara Italia". Lo seguirà la sua compagna nella notte tra domenica e lunedì, gettandosi da una finestra della casa dei genitori.

GALLERY

Nessun commento:

Posta un commento