venerdì 28 maggio 2010

la "Dante" propone tre giorni di eventi culturali aperti a tutti

Roma, 28-30 maggio 2010


In occasione dell'Assemblea dei Soci la "Dante" propone tre giorni di eventi culturali aperti a tutti
Roma ai tempi di Caravaggio musica, letteratura e pittura nel ’600


28 MAGGIO 2010
Sessione pomeridiana
Ore 17.00
La prof.ssa M. Giulia Aurigemma, Ordinario di Storia dell’Arte Moderna, Università di Chieti
presenta il libro di Chiara Barbato “Caravaggio tra cronaca e critica”
Prefazione del Prof. Claudio Strinati, Edizioni Edimond
leggerà alcuni brani Vincenzo Zingaro

Ore 19.30
Concerto-Spettacolo con videoinstallazioni, musiche, frammenti letterari, immagini
“Il suono di Caravaggio”
e dal buio deflagrò la luce...
un progetto a cura di Sabine Frantellizzi



29 MAGGIO 2010
Ore 10.30
Passeggiate caravaggesche: Palazzo Firenze, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Chiesa di Sant’Agostino,
Chiesa Santa Maria del Popolo
a cura della storica dell’arte Emanuela Gregori

Ore 11.00
Passeggiate caravaggesche: Palazzo Firenze, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Chiesa di Sant’Agostino, Chiesa Santa Maria del Popolo
a cura della storica dell’arte Chiara Barbato

Ore 17.00
Sessione pomeridiana
Presentazione delle incisioni del M° Bruno Caruso

“Caravaggio il delitto e la pena”
a cura di Lucio Villari, Professore di Storia Contemporanea, Università Roma Tre e Alessandro Masi, Segretario Generale della Società Dante Alighieri

Ore 18.00
Proiezione del film: L’ombra del genio Caravaggio, regia di Angelo Longoni



30 MAGGIO 2010
Ore 9.30
Assemblea dei Soci prima convocazione
Ore 10.00
Assemblea dei Soci seconda convocazione
Ore 13.30
Pranzo sociale


Riservato ai soci: possibilità di iscriversi in loco o sul sito http://www.ladante.it/

giovedì 27 maggio 2010

Weekend a Roma: alla scoperta dell'arte greca



Si è aperta "L'età della conquista", una mostra con i capolavori dell'antichità provenienti dai maggiori musei
europei. L'occasione per trascorrere due giorni nella capitale tra cultura e divertimento.

Polibio, storico greco e conoscitore di cose militari, lo aveva ammesso: i romani sono audaci e tatticamente
superiori, molto più agili della falange macedone che al confronto appare rigida e pesante. Nella battaglia di
Cinocefale (197 a.C.) bastò poco più di un manipolo di uomini per sorprenderla alle spalle e consegnare la vittoria su di un piatto d'argento al proconsole Tito Quinzio Flaminino. Flaminino tornò a Roma trionfante, esibendo un bottino di guerra mai visto prima: 43.270 libbre d'argento, 84.000 tetradramme attiche coniate, 3.174 libbre d'oro, 14.514 filippi, 114 corone d'oro, armi di ogni genere, oggetti artistici e statue di una bellezza mai vista.

Le opere d'arte greche esibite nel corso della processione trionfale dai generali Marcello, Flaminino, Emilio Paolo e Pompeo erano di una qualità mai ammirata prima, talvolta persino realizzate in materiali preziosi fino ad allora sconosciuti in città. E furono proprio quei volti scolpiti e quelle statue di marmo pregiato dai corpi meravigliosi e perfetti, a portare a Roma un vento nuovo, un soffio eccitante di raffinatezza e di cultura altrimenti inconcepibile negli austeri ambienti senatoriali e nei discorsi dei padri della Repubblica, conservatori e incorruttibili come Catone.
Questo mutato atteggiamento nei confronti della cultura ellenica consentirà a Pompeo quattro generazioni dopo, nel 74 a.C., di dedicare sul Campidoglio non l'immagine di una divinità, ma una statua di atleta che si deterge con lo strigile (apoxyomenos), già appartenente al tesoro dei sovrani di Bitinia. Più che uno scandalo, fu un fatto di straordinaria importanza e senza precedenti, che apriva la strada a future interpretazioni del ruolo politico e culturale della capitale di quello che sarà l'Impero più vasto e potente del mondo antico e di cui Augusto per primo se ne fece intelligente interprete e protagonista.

Questi sono gli antefatti alla mostra L'età della Conquista. Il fascino dell'arte greca a Roma (a cura di Eugenio
La Rocca e Claudia Parisi Presicce) che inaugurata il 13 marzo in Campidoglio, nelle sale dei Musei Capitolini, per rimanere aperta al pubblico fino al 5 settembre. E' la prima di una serie di cinque grandi mostre tematiche (I giorni di Roma) che dal 2010 fino al 2014 approfondiranno tutte le maggiori tappe della storia romana, dalla conquista della Grecia alla costruzione dell'Impero, da Traiano ad Adriano per giungere fino all'epoca della decadenza di Marco Aurelio e Diocleziano.

I capolavori dell'arte antica esposti per l'occasione provengono dai maggiori musei europei e coprono un arco temporale che va dalla fine del III secolo alla seconda metà del I secolo a.C., uno dei momenti fondamentali per la futura identità culturale e artistica romana, non solo dell'età repubblicana. Attraverso la visione di imponenti statue in marmo, raffinate opere in bronzo e terracotta, interi cicli scultorei, fregi ed elementi di arredo domestico in bronzo e argento, unici e rari da vedere tutti insieme in una volta sola, la mostra narra al visitatore il profondo mutamento di un'epoca, dalle consuetudini di tutti i giorni ai canoni del gusto estetico e della bellezza.

L'esposizione è suddivisa in quattro sezioni: la prima, dal titolo Dei e santuari, presenta fregi e frontoni in
terracotta provenienti da alcuni templi celebri; la seconda, Monumenti onorari, raccoglie abiti militari e armature che danno risalto alla figura del generale vincitore, con statue dai corpi in posa, vigorosi e autorevoli; la terza, Vivere la Grecia, offre ovviamente un approfondimento sull'affermazione del gusto greco in ogni ambiente del vivere, persino nel settore degli arredi domestici come candelieri, tavoli, crateri, vasellame prezioso che ornava le tavole di tutti i giorni; ed infine, la quarta ed ultima sezione, Costumi funerari, mostra forse la parte in cui romani vennero meno influenzati dai greci, il culto dei morti. In questo caso Roma rimase fiera delle delle proprie tradizioni, continuando a mostrarsi ancora orgogliosamente avvinta nelle pieghe delle toghe, simbolo d'appartenenza all'Urbe.

L'età della conquista. Il fascino dell'arte greca a Roma
Musei Capitolini (Palazzo Caffarelli)
Piazza del Campidoglio, 1 - Roma
13 marzo - 5 settembre 2010

Orario: da martedì a domenica dalle 9 alle 20 - lunedì chiuso
Ingresso: intero € 11; ridotto € 9; ridottissimo € 2
http://www.museicapitolini.org/




Sulle orme di Modigliani, tra Gallarate e Parigi



Una mostra rende omaggio al più importante tra i pittori italiani a cavallo tra due secoli. L'occasione per scoprire la provincia lombarda sognando Montparnasse e la Francia di Modì.
E' con un omaggio ad Amedeo Modigliani, il principe di Montparnasse o il più "maledetto" tra toscani, a seconda dei punti vista, che la nuova Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Gallarate, inaugura la sua nuova sede museale.

L'occasione è di quelle ghiotte per approfittare del bel tempo per una breve gita per chi vive a Milano e dintorni per visitare una mostra che si annuncia di gran fascino e una città, Gallarate, la cui storia affonda in origini galliche per trasformarsi nei secoli addirittura in capoluogo delle province della Lombardia austriaca e in seguito patria del romanticismo risorgimentale, almeno così come la ricorda quel dimenticato romanzo ottocentesco di Gerolamo Rovetta ispirato ai fratelli Giuseppe e Pompeo Castelli titolari della celebre "farmacia del rinascimento".

Dunque, si tratta di 50 splendidi disegni provenienti dai più grandi musei e dalle più grandi collezioni italiane e
internazionali, e oltre 250 documenti originali che ripercorrono la vita del grande artista di cui quest'anno
ricorrono i 90 anni dalla morte. E' il 12 di luglio del 1884, quando a Livorno, in via Roma al civico 38, nasce da Eugenia Garsin e Flaminio Modigliani, Amedeo, il futuro Modì, il più importante tra i pittori italiani a cavallo tra i due secoli. Il padre Flaminio, è un commerciante romano di origini romagnole, mentre la madre Eugenia vanta natali francesi e tunisini, nonché una discendenza dal filosofo Spinoza.

Entrambi i genitori sono ebrei e portano nel sangue il seme della più antica tradizione israelita mediterranea.
Amedeo è l'ultimo dei quattro fratelli: Emanuele, il primogenito, avvocato, diventerà deputato socialista;
Margherita, la seconda, che rimarrà in famiglia, diventerà la madre adottiva di Jeanne, la figlia di Amedeo ed
infine, il terzogenito Umberto, ingegnere minerario. Dei primissimi anni di vita del piccolo Amedeo si hanno solo ricordi sparsi ripresi soprattutto dal diario di sua madre e dalla ricostruzione dell'ambiente famigliare dei
Modigliani, giunti nella città franca verso la metà dell'800, all'indomani della proclamazione della repubblica
romana avvenuta il 9 febbraio 1849 e dei Garsin, trasferitisi dalla Tunisia a Livorno già dalla fine del XVIII
secolo.

Amedeo, il piccolo Dedo, pur tra difficoltà di ordine economico, vive la sua infanzia serenamente accudito dalla madre Eugenia e dal nonno materno Isacco, che viene ricordato dalla nipote Giovanna Modigliani, come un uomo bello, elegante, colto e "divoratore di libri". Nonno Isacco conosce di diverse lingue straniere, tra cui un po' di arabo e inglese, e ama fare lunghe passeggiate lungo i fossi fino al porto, parlando della propria esperienza e impartendo lezioni di vita al piccolo, il quale ascolta e stabilisce con il vecchio un forte legame. Per questa attitudine alla riflessione, Dedo viene soprannominato "il filosofo", tanto è assorto nell'ascoltare e partecipare alle lunghe discussioni con il nonno che via via prende il posto di un padre sempre più assente. Quando nel 1894 Isacco muore, Amedeo sprofonda in uno stato di profonda tristezza, forse il primo taglio, segno di un prematuro dolore che la vita gli terrà sempre in serbo a partire dalla prima malattia.

Nell'estate del 1895, la madre scrive sul suo diario: "Dedo ebbe una grave pleurite, e non mi sono ancora rimessa dalla paura tremenda che mi ha fatto. Il carattere di questo bambino non è ancora abbastanza formato perché io possa dire qui la mia opinione. Le sue maniere sono quelle di un bambino viziato che non manca di intelligenza. Vedremo più tardi cosa c'è in questa crisalide. Forse un artista?"

Quello che Dedo fece da quell'estate del ‘95 in poi è tutto scritto nel percorso di questa mostra che si annuncia tra le più interessanti della primavera che si è appena dischiusa e che sembra promettere bene. Tra febbre tifoide e altre malattie Modigliani si rimette dopo un viaggio in Italia in luoghi più sani e stimolanti della sua Livorno, fino a fermarsi a Venezia nel 1903 come studente dell'Accademia di Belle Arti. Ma il suo destino non è nel nostro Paese, ci vuole ben altro per appagare l'ansia di novità che corrode dentro il giovane pittore. La Francia, o meglio, Parigi è la meta ideale ed è lì che nell'inverno del 1906 che arriva affittando uno studio in rue Cauliancourt, a Monmartre, vicino al Bateau Lavoir, ormai zona di incontro di Picasso, Salmon, Max Jacob e altre imminenti rivelazioni.

Les Italien è un bellissimo uomo, affascina la sua eleganza, i suoi modi di fare. E' corteggiato da schiere di
donne e recita Dante a memoria. Il dottor Paul Alexandre, diviene il suo maggior collezionista ed estimatore,
facendolo esporre per la prima volta nel 1907 al Salon des Indipendants. Da quel momento in poi le porte della capitale francese sembrano spalancarsi all'artista: diventa amico del grande scultore romeno Costantin Brancusi e si ripete nell'anno successivo al Salon con un dipinto bellissimo, "L'ebrea" e poi senza sosta ancora nel 1910 con tre altri capolavori, "Il suonatore di violoncello", "Il mendicante di Livorno" e "La mendicante".

Nel 1912 è al prestigioso Salon d'Automne per la prima volta con otto sculture. La materia gli piace, si confà al suo carattere che inizia a mostrarsi sempre più agguerrito e in gara con la vita. Alcol, droghe e l'ansia di
diventare celebre non si addicono alla sua salute che resta pur sempre cagionevole. Ed è per questo che nel 1913 progetta un soggiorno estivo nella sua Livorno con l'idea di dedicarsi unicamente alla scultura. Iniziano così gli anni più difficili e fascinosi della sua esistenza.
Con lo scoppio della Grande guerra nel 1914 perde il suo protettore Paul Alexandre e conosce la poetessa inglese Beatrice Hastings con la quale vivrà tempestosamente due anni. Inizia finalmente a vendere i primi quadri grazie alla conoscenza del mercante Paul Guillaume. Nel 1917 diventa amico fraterno del poeta polacco Léopold Zboroswki, esce con Soutine e fa grandi bevute insieme a Utrillo. Sono gli anni in cui inizia a dipingere nudi, donne bellissime dalle forme sinuose, dai colli allungati, dai visi morbidi e dolci come quello di Jéanne Hebuterne, diciannovenne allieva dell'Académie Colarossi, della quale si innamora perdutamente tanto da decidersi per la convivenza.

E' il 1918 e la guerra è alle porte di Parigi, la salute di Modì è sempre più cagionevole e Jeanne è rimasta
incinta: non c'è tempo da perdere, occorre fare in fretta, e così l'amico Zboroswky spedisce i due innamorati al riparo dai bombardamenti in Costa Azzurra, tra Cagnes e Nizza dove nascerà la piccola Jeanne. Finalmente si torna a Parigi, Jeanne è nuovamente incinta, la luce del sud ha rischiarato la sua tavolozza, ma non la sua mente che è sempre più prigioniera dell'alcol e della malattia. Muore il 24 gennaio del 1920 all'Ospedale della Carità mormorando, si dice, "Cara, cara Italia". Lo seguirà la sua compagna nella notte tra domenica e lunedì, gettandosi da una finestra della casa dei genitori.

GALLERY

Da Jacopo della Quercia a Donatello, due giorni per conoscere la Siena rinascimentale



Più di trecento opere in mostra con tutti i più grandi artisti del primo Rinascimento. Una mostra ospitata dal Complesso di Santa Maria della Scala è l'occasione per scoprire la città toscana.

Per una Pasqua d'arte e cultura c'è un'occasione ghiotta per i palati più raffinati da non lasciarsi sfuggire: dal 26 marzo ha preso il via a Siena una grande mostra dal titolo suggestivo: Da Jacopo della Quercia a Donatello. Le arti a Siena nel primo Rinascimento, che avrà come sede principale il Complesso di Santa Maria della Scala, l'ospedale che sulla Via Francigena ospitava i pellegrini malati.
Anche se di tempo ce n'è, dal momento che chiuderà i battenti solo l'11 luglio prossimo, vale lo stesso la pena di visitarla in questa stagione di inizio primavera, quando Siena e le sue colline danno un'immagine spettacolare di un paesaggio unico al mondo.
Dunque, si tratta di ben 306 opere in mostra, una ventina di polittici ricostruiti per l'occasione, 25 restauri effettuati, prestiti dalle più prestigiose istituzioni museali del mondo e da collezionisti privati, nuovi spazi che aprono al pubblico per la prima volta, 10 saggi scritti dai massimi studiosi internazionali della materia, uno straordinario percorso espositivo che condurrà il visitatore in 3 diversi ambienti tra i più suggestivi e inediti della città: Siena prepara così la più imponente mostra finora dedicata alle arti del primo rinascimento.

La mostra curata da Max Seidel, porterà il pubblico a godere di itinerari particolari alla scoperta di una Siena che nei primi decenni del Quattrocento visse, parallelamente a Firenze, una straordinaria stagione artistica, che vide il trascorrere dal Gotico al Rinascimento. La mostra si apre con una sezione monografica dedicata a Jacopo della Quercia (Siena, 1371 ca. – 1438), il grande scultore che seppe essere il più rilevante artista della città nel primo Quattrocento e esponente di spicco del Gotico "internazionale" europeo.

La carriera di Jacopo è ripercorsa fin dagli inizi, con la monumentale Madonna della melagrana destinata alla Cattedrale di Ferrara (1403-1408), per passare ad alcuni dei marmi scolpiti per la Fonte Gaia a Siena (1414-1419), fino alle sculture in legno policromo, come l'Annunciazione della Collegiata di San Gimignano (1421-1426) e la Madonna col Bambino del Louvre. Accanto a Jacopo si fanno apprezzare anche gli altri primi attori della scultura senese di quel tempo: dal leggiadro Francesco di Valdambrino al severo Domenico di Niccolò "dei cori".
Il percorso prosegue quindi con due sezioni tematiche, che introducono il visitatore alla pittura. L'una è dedicata alla fortuna della quale continuarono a godere presso i pittori senesi del Quattrocento certi prototipi messi a punto nel secolo precedente dai fratelli Lorenzetti e da Simone Martini: un fenomeno che ha il suo manifesto nella pala di San Pietro a Ovile in cui Matteo di Giovanni, ormai nel terzo quarto del secolo, ricopia fedelmente la celeberrima Annunciazione di Simone del 1333.

L'altra sezione presenta i maestri forestieri che, lavorando in città nel corso degli anni venti, giocarono un ruolo fondamentale nell'evoluzione dell'arte senese verso il Rinascimento. Tra questi Lorenzo Ghiberti e Donatello, coinvolti insieme con Jacopo e altri, nel cantiere del nuovo Fonte battesimale, al quale apparteneva il bellissimo Spiritello tamburino del Bode Museum di Berlino del 1429 e che torna per la prima volta a Siena dopo qualche secolo.

La Madonna dell'umiltà (Pisa, Museo Nazionale di San Matteo) racconta del passaggio senese di Gentile da Fabriano, autore nel 1425 di una perduta immaginemariana in Piazza del Campo, che fu determinante per la nuova generazione che si stava imponendo sulla ribalta pittorica cittadina.

Era la generazione del "Rinascimento umbratile", che ha i suoi campioni in Giovanni di Paolo (del quale si è ricostruito, per quanto possibile, il giovanile polittico destinato nel 1426 all'altareMalavolti della chiesa di San Domenico), in Stefano di Giovanni detto il Sassetta (di cui si sono raccolti per la prima volta tutti i frammenti della pala dipinta nel 1423-1424 per l'Arte della Lana, insieme con altri capolavori) e nei suoi stretti seguaci: da Pietro di Giovanni d'Ambrogio, al Maestro dell'Osservanza (ben rappresentato dalla pala eponima e quasi dall'intera serie delle famose Storie di Sant'Antonio Abate) e Sano di Pietro (del quale si mostra il restaurato polittico dei Gesuati del 1444).

Chiude il gruppo Domenico di Bartolo: un senese atipico che, come dimostra la Madonna dell'umiltà firmata e datata 1433, seppe essere più fiorentino degli stessi fiorentini, tanto da poter confrontare le sue opere con quelle di Filippo Lippi e Luca della Robbia.